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Da Capo Nord all’Alaska: le avventure in bici di Omar Di Felice


Nemmeno il tempo di acclimatarsi e disfare le valigie dopo l’esperienza a Capo Nord terminata a fine gennaio e Omar di Felice sta già preparando i bagagli per la prossima impresa, direzione Alaska: Alaska Limitless, 1400 km in 9 giorni, un nuovo viaggio fatto di bianco, ghiaccio, coraggio e tanta voglia di sfidare nuovi limiti. Omar è partito per l’Alaska il 2 marzo e l’avventura in sella avrà inizio a partire dal 5 marzo. Una destinazione che lo vede di nuovo affrontare temperature freddissime, con una bruciatura sulla guancia dovuta ai -32° gradi incontrati durante Lapland Extreme Unsupported a Capo Nord.

Hai definito Capo Nord una sorta di allenamento per l’Alaska, cosa porti con te in Alaska
Limitless della tua ultima impresa?
“Sarà un’avventura sostanzialmente diversa in quanto avrò al seguito un’ammiraglia di supporto e,
pertanto, all’aspetto dell’adventure, unirò anche quello proprio della performance, cercando di
pedalare più chilometri possibili ogni giorno. Senz’altro essermi ritrovato a pedalare per così tanto
tempo completamente da solo, avvolto nel gelo dell’inverno artico, è stato un banco di prova e
allenamento che spero mi consentirà di sopportare meglio le rigide condizioni che troverò in Alaska”.

Sui social hai definito la nuova sfida il coronamento di una carriera intera. Quali obiettivi ti
sei prefissato?
“Per chi, come me, ama l’esplorazione artica e pedalare nei posti più freddi del nostro Pianeta,
l’Alaska rappresenta una meta fondamentale, tappa cruciale verso quelli che sono i miei obiettivi.
Non nascondo che, aver iniziato ad esplorare anche in modalità ‘unsupported’ rappresenta la
voglia di provare ad arrivare anche laddove non vi è possibilità di farlo su normali strade battute.
Sicuramente, dopo l’Alaska, potrò tirare le somme di questi primi anni di avventure invernali e
guardare al futuro con obiettivi e idee ancora più chiare”.

Come hai organizzato le tappe?
“Eccezion fatta per il tratto tra Anchorage e Fairbanks, non appena lascerò la “civiltà” e inizierò a
pedalare sulla Dalton Highway non avrò possibilità di trovare strutture ricettive se non un piccolo
Camp a Coldfoot dove fisseremo la nostra base. Da lì, ogni giorno, ci sposteremo in auto per
raggiungere l’inizio del tragitto in bici e lì faremo rientro ogni sera. Considerando le circa 10-11 ore
di pedalata al giorno stimata, se sommiamo anche i trasferimenti, il tempo per il riposo sarà
veramente ridotto al lumicino”.

Questa volta partirai con un team e una vettura di supporto al seguito. Quali saranno i
vantaggi rispetto all’ultima impresa Lapland Extreme Unsupported a Capo Nord?
“Proprio per i motivi di cui sopra, avrò un’ammiraglia che mi consentirà non solo di avere
assistenza necessaria per poter pedalare circa 200-220 km al giorno in condizioni così estreme –
previste temperature tra -20°C e -35°C lungo la Dalton Highway, unito al rischio di forti bufere di
neve sul Passo Atigun, 1400 m slm – ma anche di poter gestire tutta la fase di pedalata facendo
rientro, ogni sera, in camping. In aggiunta servirà anche per il docufilm che verrà realizzato al
termine dell’avventura”.

Hai scritto in alcuni post che la bici e il ciclismo sono legati ai ricordi più dolci della tua
infanzia e adolescenza. Da dove è nata questa passione?
“La mia passione per il ciclismo ha radici profonde ed è iniziata assistendo prima alle tappe del
Giro e del Tour in TV e poi muovendo i primi passi su una bici da corsa con mio padre. Ho sempre
vissuto il lato romantico di questa disciplina, affrontandola alla ‘vecchia maniera’. Nonostante la
tecnologia e, più in generale, l’evoluzione della tecnica e dei materiali, abbia tolto un po’ di quella
poesia, sono proprio quelle radici a far sì che per me, anche le fatiche più grandi, altro non siano
che un modo per rivivere la gioia di quelle prime pedalate”.

Suunto 9 ti ha accompagnato a Capo Nord, come ha reagito alle temperature artiche?
“Ho potuto sperimentare la temperatura limite di esposizione: a -35°C il display si spegneva ma,
fortunatamente, continuando a registrare e consentendomi quindi di salvare tutte le tracce
pedalate. Come al solito avrò comunque un orologio di backup da tenere al polso, che grazie al
calore corporeo e alla copertura della manica della giacca sarà più ‘al caldo’, per non perdere
neanche un chilometro di quest’avventura”.

Hai scoperto nuove funzionalità per utilizzarlo al meglio?
“Sicuramente avrò sempre visibile la temperatura in quanto mi aiuterà a capire meglio se sto
raggiungendo il limite di utilizzo delle varie attrezzature elettroniche e meccaniche, anche se,
ormai, ho sviluppato una certa sensibilità sulla pelle grazie anche ai segni del freddo intenso che
porto, e il tempo trascorso in sella così da capire quanto tempo di esposizione al freddo sto
affrontando. Infine la funzione cardio è molto utile in quanto mi permette di regolare lo sforzo fisico
anche in base alla temperatura esterna: troppo sforzo significherebbe surriscaldarsi e sudare, con
conseguente raffreddamento, mentre un ritmo troppo blando potrebbe comportare l’incapacità di
regolare ottimamente la propria temperatura corporea”.

Il prossimo sogno a cui apporre una spunta?
“Il 5 marzo partirà un’avventura straordinaria di cui so già che vivrò alcune delle fasi più
emozionanti e incredibili della mia carriera. Ma, al tempo stesso, ne avrà inizio un’altra, legata a
doppio filo con il ciclismo e la mia vita. Non posso ancora svelarvi nulla ma darvi appuntamento
sulle mie pagine proprio per la partenza di Alaska Limitless perché sarà il momento in cui vi
annuncerò anche questa grande novità”.

Fonte GMcomunicazione

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.